Kongjian Yu, uomo della terra

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Ho avuto l’occasione di incontrare Kongjian Yu in tre occasioni. Le prime due, a distanza di un breve periodo, in occasione del suo arrivo a Firenze, nel 2016, invitato dal Prof. Enrico Falqui a partecipare come relatore ad uno degli appuntamenti del ciclo di conferenze Open Session on Landscape, e quindi, ghiotta occasione che si ripeteva, al Congresso IFLA tenutosi a Torino. La fortuna di averlo potuto ascoltare dal vivo, credendolo irripetibile, mi portava a concentrare il maggior numero di informazioni ed insegnamenti, cercandole di stiparle vicino alla meraviglia di osservare i suoi progetti mentre le immagini proiettate scorrevano. I suoi ragionamenti, disarmanti per quanto semplici, erano però dotati di una forza impattante, una vera e propria spinta verso un diverso approccio al progetto di “isole di natura urbana”, declinato secondo una sensibilità tutta cinese ed una visione ecologica al di là del futuribile.

La terza volta che ebbi l’opportunità di incontrarlo, fu in occasione di un viaggio in Cina nel 2018, alla scoperta dei suoi progetti, come parte di un viaggio di ricerca intrapreso dalla Prof. Caterina Padoa Schioppa. Questo viaggio avrebbe poi portano alla stesura di una monografia fondamentale sulla figura di questo paesaggista, Kongjian Yu. Turenscape 1998-2018, un volume bilingue (italiano ed inglese) edito da Libria. In compagnia dell’autrice del libro e dell’artista Yijie Yang, affrontammo molti chilometri di strada per approfondire sul campo il rivoluzionario pensiero di uno dei massimi esponenti di una corrente dell’architettura del paesaggio contemporanea.

Il viaggio ebbe luogo a cavallo fra giugno e luglio, un periodo di clima inclemente per le città di Pechino e Shanghai e le corrispettive aree geografiche, date le alte temperature e gli elevati tassi di umidità. L’ospitalità di Kongjian Yu non fu il solo aspetto “rinfrescante” di quel viaggio. I luoghi visitati, i suoi progetti, parchi o giardino di grandi dimensioni, propongono un vero e proprio contrasto con l’ambiente urbano estremamente vivace (per non dire caotico) delle città in cui si trovano. Il passaggio da un quartiere popolare di tipici condomini a torre degli anni ’80, corrispondenti al boom edilizio e all’esagerata espansione dei centri urbani, ad un nucleo verde, ricco di acqua e vegetazione, fresco e riposante, dimostra che la spinta ecologica della Cina non è soltanto una promessa sulla carta, ma al di là di ideologie o preconcetti, è un fatto incontestabile ed una sfida verso un futuro di sostenibilità, che gli eredi del Celeste Impero portano avanti con grande intraprendenza ed ambizione.

Il nostro tour ci ha portato a vivere diversi progetti di Konjian Yu, fra i quali il Red Ribbon Park e il progetto di restauro costiero di Qinhuangdao, il Mei Garden e il celebre Yanweizhou Park a Jinhua, il Luming Park di Quzhou, il corridoio verde fluviale di Pujiang e il Qiaoyuan Park di Tianjin, fra gli altri, percorrendo svariate centinaia di chilometri e attraversando la Cina a Nord e ad Est, toccando fra le altre mete il luogo dove la Grande Muraglia incontra il mare (detto “testa del vecchio drago”), nel golfo di Bohai.

Al di là della meraviglia di questi paesaggi così lontani da quelli fin’ora conosciuti, incontrare sia i progetti che la mente ideatrice dietro a questi, porta a considerare il pensiero di Kongjian Yu una rivoluzione ecologica, un nuovo modo di intendere la città ma che ha radici antiche, ancorate alla terra, Non per nulla il nome che ha voluto dare al suo studio di progettazione (uno dei più grandi al mondo), è Turenscape (Turen, da Tu (土), Terra e Ren (人) ossia Uomo) più scape, declinabile con panorama, paesaggio, ma anche fuga (nel senso prospettico di perdita verso l’orizzonte). Uomo della terra quindi, uomo che affonda le sue radici profondamente, in una saggezza da molti dimenticata, la conoscenza degli avi, ma non quella elitaria dei filosofi o dei letterati, bensì quella autentica e preziosa dei contadini, di coloro che come i suoi antenati coltivavano la terra, carpendo i segreti del suolo e delle acque, le leggi della vegetazione e del vento.

L’autrice della monografia definisce questo approccio come derivante dal “culto delle origini, o se vogliamo il sentimento di nostalgia, che rappresenta uno dei raccordi fondamentali tra l’identità personale e i processi di identificazione collettiva, ovvero tra il piano psicologico e quello politico nel lavoro intellettuale”. Ciò che si percepisce ad un primo impatto visitando uno dei suoi progetti è una profonda interazione fra la sfera dell’ambiente antropizzato e quella dei sistemi naturali.

L’acqua è l’elemento cardine che lega questi due ambiti, li connette secondo le molteplici forme che questa può assumere, come corrente di un fiume, stagno tranquillo, rain garden, sponda alluvionale, gocce stillanti dalle foglie degli alberi. L’acqua è onnipresente, “come se al concreto bisogno di stringere un sodalizio con l’elemento che più di ogni altro genera e custodisce la vita si sommasse la segreta aspirazione a rivelarne il carattere iniziatico, mistico oltre che ludico e purificatorio”.

I parchi fluviali di Kongjian Yu diventano delle vere e proprie “macchine paesaggistiche resilienti”, operando attraverso tecnologie naturali per la salvaguardia delle città, proteggendole dalle frequenti esondazioni, agendo come “spugne” (da cui il concetto di sponge city, ossia “città spugna” molto caro a Kongjian e radicato nella sua progettazione); l’acqua generata dall’alluvione viene trattenuta, così permettendo un deflusso controllato all’interno del sito del parco, lasciando integra la città. Troviamo in questi progetti una risorsa preziosa e quanto mai fondamentale per contrastare gli effetti nefasti della sempre più nota frequenza di eventi climatici estremi.

Ma c’è un altro aspetto molto interessante che unisce i progetti di questo che Caterina Padoa Schioppa definisce “un maestro delle forme organiche”. Il suo approccio al paesaggio è delicato, l’intervento minimo ed essenziale, quasi a voler sottolineare la già innata perfezione della natura. Passeggiare in un suo parco significa osservare da vicino un ambiente costruito con perizia e costantemente legato alla realtà e dimensione dei processi naturali, il contrario dell’approccio tradizionale al giardino cinese, dove gli elementi di un vasto paesaggio vengono trasfigurati e rimpiccioliti per essere disposti secondo regole ben precise all’interno di un contesto limitato, un “luogo di evidenza, un sito perfetto, ordinato in accordo con le leggi del Cosmo” (P. Grimal, L’arte dei giardini. Una breve storia, 1974), un paesaggio in miniatura, un “infinito stipato in una fiasca” (K. Yu, Infinity in a Bottle Gourd: Understanding the Chinese Garden, 1993).

La qualità del luogo definisce anche la qualità della vita sociale al suo interno. Gli abitanti delle metropoli cinesi congestionate amano trascorrere il tempo libero in questi parchi, congeniali ad ogni tipo di attività. Bambini ed anziani coinvolti reciprocamente nel ciclo della natura allestiscono piccoli concerti, sessioni di karaoke, balli e attività fisica, giocano a carte e a volte, tradizionalmente, si esercitano nell’arte della calligrafia effimera con enormi pennelli. Armonia, questo è il sentimento che governa questa socialità, questi spazi, e il pensiero che li ha generati.

La monografia di cui si parla fornisce dettagliate descrizioni di molti di questi progetti, con un ampio apparato fotografico. Inedito e di particolare interesse è l’intervista che conclude il volume, registrata direttamente nell’ufficio di Kongjian Yu a Pechino, che oltre alla sua stanza personale e all’area amministrativa comprende quattro piani di studi e postazioni di lavoro, il tutto immerso in un ambiente verde e rinfrescante.

L’atmosfera è quella di una fucina creativa sempre all’opera, ricca di professionisti in svariati campi del sapere che collaborano nella concezione di progetti sempre innovativi. Nell’intervista in questione, dal titolo Venti anni di teorie e progetti, Caterina Padoa Schioppa approfondisce svariati aspetti della vita e del percorso di Kongjian, soffermandosi sui concetti chiave del suo pensiero, ognuno dei quali possiamo vedere come una piccola lezione di paesaggio.

Il viaggio fra i paesaggi di Kongjian Yu ha concesso momenti di bellezza, di riflessione e di comunione con la natura e la sua forza, con la resilienza, massima espressione di rinascita ciclica. Il nostro ospite, oltre alla generosità nell’accoglierci e nel prodigarsi per mostrarci il suo lavoro e un nuovo punto di vista diverso da quello occidentale, esprime con il suo operato una generosità non verso il singolo ma verso l’umanità, una generosità che parte dalla terra e dall’amore per essa.

Con i suoi progetti dona uno slancio per affrontare le sfide globali in merito a cambiamenti climatici e sostenibilità, lasciandoci intendere che la scelta è soltanto dell’uomo, ed ogni decisione influenza il progresso o lo rallenta. Porto di quel viaggio un ricordo indelebile, non soltanto come prima esperienza in una nazione tanto diversa e affascinante, ma soprattutto per lo spirito indomito che ho conosciuto, capace di vedere al di là del presente, ma radicato nella semplice verità che ci circonda. Lo spirito della terra di Kongjian Yu, rivoluzionario del paesaggio.