Verdi gemme in un rosso scrigno – passeggiando per giardini a Ferrara

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Dare una definizione di “giardino” può essere materia molto semplice o di estrema complessità; tutto dipende dalla prospettiva con cui si affronta il tema. Se da un punto di vista oggettivo, nella comune visione, il concetto e la fisicità del giardino sono nella mente di chiunque, da un punto di vista soggettivo il giardino può assumere diverse declinazioni, sfumature di una stessa tonalità (principalmente il verde), che vanno a contribuire alla vasta tela del paesaggio.

Il percorso fra i numerosi giardini (ben 71!) nella città di Ferrara, in occasione della loro apertura durante la manifestazione Interno Verde, tenutasi sabato 12 e domenica 13 settembre 2020, propone una visione molto interessante di questi che non sono soltanto spazi verdi. Quello che si può dedurre, provando a vagare fra corti e vicoli, è che i giardini sono storie che si intrecciano, brani di esistenze, stratificazioni, memorie, narrazioni che oltrepassano le forme o la vegetazione. Sono vita, esseri viventi, contenitori di vicende. In poche parole, rappresentano l’uomo.

I giardini di Ferrara sono delle gemme verdi racchiuse da forzieri rossi, colore dei muri, delle corti. Scoprirli significa scoprire parte delle vite dei proprietari, scavare nella loro storia, conoscere gli aspetti più interessanti di un luogo. Il percorso si snoda in diversi ambiti della città, persino sull’acqua. La varietà dei giardini mostra l’incredibile serie di trasformazioni subite dal tessuto urbano, gli avvicendamenti delle famiglie, le peculiarità degli ospiti che hanno aperto le porte dei loro luoghi più cari. Tracciare anche sinteticamente una descrizione di tutti i giardini visitabili sarebbe molto complesso, e non renderebbe comunque giustizia ad una manifestazione da vivere. Quello che si può fare è saltare da un luogo all’altro, immaginandosi come viaggiatori letterari, scorrendo la carta geografica di Ferrara e puntando l’indice, trovarsi all’interno di questi giardini segreti.

Al 21 di via Ugo Bassi entriamo in una piccola corte, dove il contrasto fra il costruito ed il vegetato è notevole. Siamo accolti da due quadrati, piccoli in confronto all’altezza delle pareti che li sovrastano. In questi spazi sono raccolte densamente molte piante, fra le quali palme, camelie, ortensie e gardenie. Un luogo a metà fra la luce e l’ombra, dove il sole può faticare ad entrare, ma non per questo un luogo freddo. Osservando con attenzione possiamo vedere sulle pareti i segni di quelle trasformazioni di cui si parlava: archi, logge, portali, aperti e richiusi nel corso dei secoli. Lo stesso spazio occupato dal giardino un tempo era ricoperto di cemento, diviso probabilmente da vicissitudini famigliari. Può capitare, nei momenti più soleggiati, di incontrare uno degli abitanti più importanti del giardino: una tartaruga, padrona di questo regno verde.

Spostandoci in via Coramari, presso il Convento di San Francesco, entriamo un una porzione di paesaggio agricolo in pieno centro cittadino. Non ci sarebbe da meravigliarsi, considerato l’importante impronta lasciata dagli Orti Estensi, ma colpisce comunque il fascino rurale di questo orto urbano, curato da Fra Graziano, che fra polli ruspanti e damigiane di nocino lasciate a macerare, si gode la vicinanza con la terra e le cose che crescono (in questo caso susino, melo, vite, nespolo, ciliegio, cachi, giuggiolo). L’origine di questo giardino produttivo è da ricercare nel 1200 circa, quando i frati francescani lo elessero a luogo di tranquillità per coltivare la terra. Da quel tempo i mutamenti sono stati numerosi, con l’edificazione di una prima chiesa, poi di una seconda nel 1341, l’annessione del campanile nel 1606 e le soppressioni napoleoniche. Respirare la storia diventa non soltanto un’espressione, ma una vera e propria realtà in questi ambiti.

Di ordine più formale è invece il giardino di Palazzo Scroffa, dove la famiglia proprietaria volle, agli inizi del Novecento, impreziosire la propria abitazione con alberi che al giorno d’oggi sfoggiano tutta l’imponenza di quegli esseri vegetali che da lungo tempo osservano le vite; in particolare un albero di Giuda con un tronco di proporzioni notevoli (più di quattro metri). Ad ogni stagione corrispondono diverse fioriture di rose, associate con agapanti, nasturzi, gelsomini, camelie, ortensie e molte altre piante. Passeggiare in questi giardini è un po’ come scavare nel tempo, approfittando del momento, dell’istante in cui è possibile godersi la loro bellezza.

Una pausa riflessiva si impone nelle stanze del giardino dell’associazione Ilturco, che organizza la manifestazione Interno Verde. Qui troviamo il minimalismo di un labirinto tracciato in ghiaia sul terreno, un gioco di ingressi che conducono a nuove aree del giardino, su diversi livelli. Le prospettive si mischiano, così come i fatti storici. Pare che un celebre medico anatomista del XVI sec., tale Giovanni Battista Canali, vivesse nel palazzo prospiciente, e nel giardino venissero sepolti i resti dei corpi studiati, precedentemente colpiti dalla peste. Al centro del labirinto, in occasione della manifestazione è stata osta una teca trasparente, contenente una serie di erbe spontanee, tipiche dell’incuria nelle strade e nei recessi dei giardini. Piante pioniere, erbacee timide o prorompenti, illuminate di notte, si fondono in un’opera psichedelica fra natura ed artificio.

Frutto di costruzioni, demolizioni, ricostruzione è anche la corte di via degli Spadari, nascosta, un luogo in cui meditare sul passare del tempo, fra sentieri angusti in cui risuona la forza della pietra e del mattone, accolti dalla frescura e dall’ombra.

Di tutt’altro gusto, fra liberty e riscoperta di uno stile rinascimentale, nei primi del Novecento il giardino della villa di Corso Vittorio Veneto 25 vide la luce, frutto di un piano urbanistico degli anni ’20. Entrando si viene accolti da un magnifico arco di glicine, pianta che ci accompagnerà per tutto il percorso, circondando la casa, aggrovigliandosi alle ringhiere. Dal vero alla decorazione, potremmo non accorgerci (e sarebbe un vero peccato), di un altro rampicante, questa volta un’edera, scolpita ad arte, un delicato richiamo vegetale realizzato dalla proprietaria, che si inerpica su scalinate e muri, partendo però da un’edera autentica. Proseguendo troveremo numerosi spunti creativi su cui soffermare lo sguardo: statue in pietra e ferro, un pozzo dalla parvenza antica, un’acquasantiera a conchiglia, lastre incise immerse con un certo romanticismo nel verde.

Alla memoria collettiva è affidata la storia del giardino dell’ex Collegio Sant’Orsola, Luogo di gioco per i bambini dell’asilo gestito dalle suore Orsoline, negli anni ha acquisito un impianto formale, e ora, con al di sotto un parcheggio, le siepi di bosso dominano la scena, punteggiate dalle aromatiche e da melograni. Si racconta che l’orto preesistente fosse curato da una suora, di nome Concordia, la quale era divenuta una figura mitica grazie alla mancanza di un dito, mozzato forse durante i lavori nell’orto, curato e sempre ricco.

Rimanendo nell’ambito del formale, immancabile sarebbe una visita al giardino di via XX Settembre, al civico 122, corrispondente a Palazzo Ludovico il Moro, sede del Museo Archeologico Nazionale. Ricostruzione degli anni ’30 di un impianto tipicamente rinascimentale, si susseguirono delle aggiunte negli anni ’50 e un restauro nel 2010. Passeggiare in attraverso i sentieri di questo paradiso geometrico conduce la mente nell’astrazione dei labirinti, verdi ricami dove l’intraprendenza assume nuovi significati. Giungere spiritualmente rinati fino al pozzo centrale, riposando all’ombra del pergolato, lieti di essere partecipi di quell’antica arte che è propria dei giardini. Cedri, tassi, melograni accompagnano l’ingresso, il trascorrere della visita e ci osservano all’uscita, instancabili guardiani del labirinto.

Scorre la giornata, e fra giardini d’artista, selvatichezza urbana, collezioni botaniche, orti, cortili e biblioteche nascoste, ci si accorge che non tutti questi frammenti di un più ampio mosaico sono sulla terraferma, o meglio, alcuni si raggiungono più facilmente in barca. Traghettati sul corso del Po di Primaro, un ramo deltizio del fiume si viene condotti in altri verdeggianti universi affacciati sull’argine. Lì si coltiva e si assapora la tranquillità dello scorrere delle acque, al riparo da traffico e rumori, in piccole parcelle di terreno racchiuse in un mare di vegetazione, dove la vita acquista leggerezza. Forse è il lasciarsi trasportare dalla corrente che porta via i pensieri e le fatiche, forse è la vicinanza alla natura, sta di fatto che in questo luogo regnano calma e larghi sorrisi.

Con questo spirito di serenità, dopo un lungo girovagare giunge il tempo di un meritato riposo. Un ultimo giardino attende, quello dei Gatti Turchini. Qui, sempre al riparo di alte mura, il sole tocca alberi da frutto, silenzioso si fa largo fra la menta, la melissa, l’assenzio. Anche il visitatore stanco può trovare riparo in questo luogo, così come a volte fanno i gatti turchini, una rara specie letteraria (frutto della fantasia di Charles de Brosses, conte di Tournay), che si aggira nei vicoli e riposa pacifica alle finestre di Ferrara, gustandosi la bellezza del verde immerso nel rosso, fra le vite che si intrecciano, le storie che vengono raccontate una di seguito all’altra, coprendosi con la vivace patina del passaparola, e gli sguardi di coloro che per un attimo hanno sostato in questi giardini, fugaci visitatori o coltivatori della propria esistenza.