L’incredibile storia dello Square du Vert-Galant

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18 (o forse 11 secondo alcune fonti) marzo 1314. Un fumo acre e denso si leva da un’isola di Parigi, l’île aux Juifs (isola dei Giudei). Una folla si è radunata: curiosi, morbosi, padri desiderosi di educare i propri figli secondo l’uso dell’epoca, fanatici religiosi, contadini in cerca di spettacolo. Fra questi, svettante, il sovrano Filippo IV il Bello. Ma più di tutti, i protagonisti del giorno sono due uomini, causa loro malgrado del denso alone di cenere e morte che aleggia intorno alle rive dell’isolotto nella Senna. Jacques de Molay e Geoffrey de Charnay, rispettivamente ultimo Gran Maestro dell’Ordine dei cavalieri templari e Precettore di Normandia per il medesimo Ordine.

Quel giorno, l’ultimo delle loro vite, condannati ad ardere vivi sul rogo, si perde fra vicenda storica e leggenda. Certo fu l’accanimento del re e del loro accusatore, Nogaret, guardasigilli del sovrano, nei loro confronti, per impossessarsi delle ingenti ricchezze dell’Ordine. Più discutibile fu l’ambiguo atteggiamento di Papa Clemente V nel formulare una precisa valutazione d’accusa o d’innocenza. Probabile frutto di fantasticherie fu la maledizione lanciata dal Grande Maestro al momento del trapasso, volta contro il sovrano e il Papa, principali responsabili della sua fine prematura e della distruzione dell’Ordine. Falso storico, mito o che altro, sta di fatto che questi personaggi morirono entro l’anno (Nogaret morì un anno prima del rogo), alimentando la convinzione che l’anatema di de Molay avesse avuto successo. Non solo egli maledì il re, ma condannò a patire la sua stirpe, fino alla tredicesima generazione.

Maurice Druon, nel suo Les Rois maudits, sfrutta questa vicenda per raccontare, a partire proprio dalla condanna di Jacques de Molay, della storia dei Re di Francia, avvolta in vicende sanguinarie, intrighi, e culminante con la ghigliottina per l’ultimo simbolo dell’assolutismo monarchico durante la Rivoluzione Francese, rispettando così l’incedere terribile della maledizione. Druon descrive così il luogo in cui i due sventurati trovarono la morte fra le fiamme: “Il giardino del Palazzo era separato dall’île aux Juifs soltanto da uno stretto braccio del fiume. Il rogo era stato eretto in modo da porsi frontalmente alla loggia reale della tour de l’Eau. I curiosi non cessavano di affluire sulle due rive fangose della Senna, e l’isolotto stesso svaniva sotto la calca della folla. I traghettatori, quella sera, facevano la loro fortuna” (M. Druon, Le Roi de Fer, Le Livre de poche, 1955).

L’isolotto dove ebbe luogo questa cruenta vicenda, l’île aux Juifs (o île des Juifs), trae il suo nome con buona probabilità da esecuzioni in nome della fede avvenute precedentemente ai suddetti fatti relativi all’Ordine dei templari. Storicamente, quindi, un luogo di sangue, un luogo di morte nelle acque della Senna situato ad ovest dell’île de la Cité, affacciato verso la tour de Nesle sulla riva opposta. Delle tre isole fluviali che prolungavano l’estrema punta occidentale dell’île de la Cité, questa era la maggiore.

Le transformazioni dell’estremità occidentale dell’île de la Cité e del Palais de la Cité fra il 1380 e il 1620

Durante il periodo fra il 1578 e il 1607, in concomitanza con la costruzione del pont Neuf sotto il regno prima di Enrico III e quindi di Enrico IV, l’île aux Juifs e le due vicine (l’île à la Gourdaine e l’îlot du Passeur-aux-Vaches) vennero unite e permisero la creazione di quella che oggi è conosciuta come place Dauphine. Ma all’opposto di questa piazza, attraversando trasversalmente il ponte, si incontra l’attuale punta occidentale dell’île de la Cité, che porta il nome di Square du Vert-Galant, un luogo ameno costruito sulle vestigia di quelle piccole isole con una così grande storia alle spalle.

Questo piccolo giardino, così denominato in onore di Enrico IV, detto appunto il Vert-Galant (l’espressione, in uso a partire dal XVII secolo, indica un uomo che, nonostante l’età avanzata, manifesta intraprendenza amorosa, come nel caso del sovrano di Francia qui nominato, grande amatore anche in tarda età. L’origine del termine potrebbe derivare da “virens”, in riferimento al vigore della giovane vegetazione, unito a “galant”, termine con cui un tempo si indicavano i briganti, passato poi nell’accezione di gentiluomo di grande audacia, in particolare con le donne), rimane una perla nascosta ai più che passano sul pont Neuf per raggiungere l’île de la Cité.

Scendendo i gradini che consentono di arrivare al suo livello, sette metri più in basso rispetto al resto dell’isola, subito ci si accorge di come quest’angolo di verde nel cuore della Parigi storica risenta dell’influsso della sua relativa estraneità alla terraferma e alle trasformazioni che la storia gli ha imposto. Un triangolo bordato dal fiume, una punta di freccia che contiene alberi (fra i quali salici piangenti, meli da fiore, ginkgo, alberi di giuda, aceri e tassi) ed altra vegetazione quanto più è possibile per questo lembo di terra che fu isola.

Sette metri bastano per proiettare il curioso visitatore in un luogo diverso dal resto della città, poco frequentato, dove la calma e la tranquillità si fanno largo fra la vivace caoticità delle strade dell’île de la Cité. Prima di venire formalmente acquistato dalla città per la simbolica cifra di un franco nel 1844 (anno in cui venne creato l’impianto che oggi possiamo osservare), questo giardino era meta sia di amanti del fresco, che qui trascorrevano le ore più calde della giornata fra bagni rinfrescanti nel fiume, sia da amanti di un altro genere di “intrattenimento”, che suscitò l’indignazione popolare e portò alla chiusura di numerosi edifici nei dintorni.

Seguendo il percorso storico delineato da Alain Baraton nel suo Mes Jardins de Paris (Éditions Grasset & Fasquelle, 2020), lo square divenne molto apprezzato per le passeggiate e nel 1865 venne installato un chiosco dove sorseggiare freschi beveraggi. Ma il fiume, inclemente nel suo andamento, nel 1879 spazzò via queste installazioni, così come in effetti sarebbe stato prevedibile, trovandosi il giardino praticamente al livello originale delle antiche isole fluviali. Il 14 novembre del 1910, anche gli alberi patirono la medesima sorte, venendo inondati completamente.

Un luogo tormentato, nonostante la calma che lo contraddistingue. Ironicamente, sempre Baraton suggerisce che “non fu la pietra portata nello square du Vert-Galant nel 1967 a mutare la situazione”. In effetti, questo omaggio, voluto da una rappresentanza del Canada in occasione dell’Expo Universale di Montréal come testimonianza dell’amicizia franco-canadese, consistente in un frammento di masso dell’isola di Sainte-Hélène (si sprecano qui i rimandi bonapartisti e le controversie dovute al legame con l’ultima dimora dell’Imperatore di Francia, trattandosi di un’isola omonima), non bastò a quietare il vigore della Senna, che continuò periodicamente ad inondare il già travagliato giardino.

La sua semplicità, con il prato centrale che riprendendo la forma allungata diventa come una goccia, e le bordure alberate che lo circondano, contrastano con la particolarità della posizione e la sconcertante ricchezza della sua storia. Un piccolo brano di terra che si protende verso l’acqua, elemento dal quale ebbe origine, dove trovare serenità, e forse, in sintonia con la tipica atmosfera parigina, dove un poeta può contemplare il lento scorrere del fiume, lasciando vagare i pensieri e tramutando il breve istante di sosta in infinita quiete.