In viaggio con Hemingway

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Sulle tracce del “Diario di viaggio” di Ernest Hemingway in Spagna, ci ritrovammo, nel giorno di Sant’Anna, a Tudela, città storica della Navarra, fitta di campanili, sulla cui sommità nidificano le cicogne.

Ogni anno, in questa città, il 24 luglio segna l’inizio di sette giorni di Festa ininterrotta; il ballo della “Revoltosa” richiama ogni giorno molta gente intorno al chiosco di Piazza Fueros.

Dopo mezzanotte, i ballerini mettono alla prova la propria resistenza, girando intorno al chiosco al ritmo della danza che si fa sempre più vorticosa fino a raggiungere una velocità tale che la piazza sembra girare in una spirale vertiginosa.

È un evento pazzesco, una “performance” artistica che coinvolge tutti i presenti, abitanti o turisti che siano, senza la presenza dei tori di Pamplona, ma ugualmente degna dello spirito folle che anima i personaggi di “Fiesta”, capolavoro dello scrittore americano.

Tudela, capoluogo della Ribera, è conosciuta soprattutto per la secolare convivenza di diverse culture, favorita dal re Alfonso il Battagliero dopo la riconquista della città ai Musulmani, all’inizio del XII secolo. Per quattro secoli la convivenza tra le tre religioni monoteiste ha prodotto il più alto sviluppo della città e tale alto grado di civiltà è testimoniato proprio dal suo paesaggio urbano che trova il suo apice proprio nella Plaza Fueros.

La Navarra, ultimo regno indipendente entrato a far parte della unificata monarchia spagnola (1512) è anche un mucchio di tante altre cose. Ad esempio, ben due sono le lingue parlate dai suoi abitanti: a sud, nella piana della Ribera contadina si ascolta lo spagnolo o castellano, mentre a nord, sui monti, si parla quel mistero linguistico chiamato Basco, l’Euskera. Ma la sua vera particolarità sta nel fatto che, in poche decine di chilometri, si alternano fasce climatiche, ambienti naturali e tradizioni culturali così differenti tra loro che la regione può essere considerata uno dei territori a più alta varietà di paesaggi e di patrimonio culturale di tutta la Spagna.

Passato il ponte sul fiume Ebro, in quella calda estate del 1994, dopo pochi chilometri, ci trovammo immersi nel paesaggio color ocra di un inaspettato e affascinante deserto, le Bardenas Reales, dove le piogge torrenziali hanno modellato un terreno gessoso e argilloso.

Il vento del nord che scendeva veloce dalle montagne, soffiando tra gli angusti passaggi rocciosi, stemperava la calura del giorno assolato.

Grandi pietre granitiche proteggono come una sorta di ombrello la terra sottostante, ma le violente piogge autunnali erodono profondamente il suolo creando colonne e torrioni sabbiosi che, lentamente ma inesorabilmente, si sgretolano e si assottigliano, fino a non essere più in grado di sostenere il peso della pietra. Ampie pianure si alternano, qui, a burroni, dirupi e colli che arrivano fino a 600 metri di altezza.

Il vecchio pulmino Ford arrancava sugli stretti sentieri delle Bardenas Reales, 415 kmq di spettacolari paesaggi tra i fiumi Aragon e l’Ebro, abitate fin da tempi antichissimi; un cosmo straordinario ed unico, una realtà intrisa di mistero e di poesia dove l’uomo non può che sentirsi un essere piccolo piccolo.

Il deserto, come metafora, è la pagina bianca, il vuoto illimitato che si spalanca a ogni impresa d’arte e a ogni viaggio interiore; il deserto come “paesaggio”, non si può raccontare, si deve viverlo e conduce allo “spaesamento”.

Stiamo attraversando la “Bardenas Negra”, a sud del confine con l’Aragona, formata da argille scure e rossastre e da rocce calcidiche, assomigliante ai Monegros del deserto aragonese, su cui si ergono boschi di pino d’Aleppo. Qui, tra strapiombi di gesso, popolati da querce dei pirenei e macchie di rosmarino, nidificano gufi e aquile reali, grifoni e avvoltoi egiziani.

Nella zona centrale di questo magico deserto, paesaggio europeo “unico” e riserva speciale della Biosfera, si trova la Bárdena Blanca composta da sedimenti salini e rocce gessose che danno un colore giallognolo e biancastro alle dune sabbiose, ad est la steppa della Bárdena Verde, oggi recuperata agli usi agricoli grazie a un sistema di irrigazione e di canalizzazione delle acque dei fiumi circostanti; qui nidificano la grande otarda, l’allodola, la moffetta, la rosa canina mentre a nord si eleva a centinaia di metri sopra la landa, la Meseta del Piano che offre scenari spettacolari. Da sempre questa zona è punto di partenza e arrivo delle greggi che in primavera salgono verso Roncal e gli alpeggi montani, per poi ridiscendere a valle e svernare al tepore della pianura, allietata dallo svolazzare di migliaia di falene e di farfalle assai rare.

Arrivati al limitare della zona desertica, ci apparve un paesaggio tipico della civiltà mediterranea: case scavate nella roccia, ovvero ciò che rimane dell’antica tradizione abitativa locale, quando contadini e pastori si rifugiavano al fresco delle cuevas per proteggersi dal solleone e dall’afa estiva della pianura.

È sera, scendiamo dal pulmino, siamo arrivati ad Arguedas. Volete sapere chi era il mio compagno di viaggio?

Hemingway, naturalmente!