Greening Ciompi Square – Ricordo di un’azione paesaggistica

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Diversi anni sono trascorsi, ma non posso ancora usare il c’era una volta. Ma questa narrazione ha il gusto di una favola, almeno nel ricordo, in quanto nata dalla semplicità di un’idea, una proposta, portata avanti in una realtà che spesso tende a contrastare l’eventualità di un azzardo. Una proposta portata avanti da menti giovani, fresche, in un periodo di grande creatività. Questa storia, non essendo una favola, non ha una morale, ma vuole dimostrare comunque la forza di un’idea, e raccontare brevemente come nacque un piccolo progetto che ridonò vita, almeno per breve tempo, ad uno dei luoghi iconici della città di Firenze.

Nel 2016 ero ancora studente, e alcuni compagni di corso lanciarono un’idea che fece proseliti nella classe. Il tutto partì da Torino, durante il Congresso Mondiale dell’IFLA, in aprile. La voce degli studenti fu chiara e semplice: dobbiamo invitare Pablo Georgieff dello studio COLOCO a Firenze per lavorare ad un progetto. A raccogliere questo invito che aveva anche il sapore di una sfida fu il Prof. Enrico Falqui, fervente sostenitore di idee giovani e convinto riformatore dei vetusti approcci allo spazio pubblico che nelle città imperversano nonostante l’epoca in cui viviamo.

L’occasione venne fornita dallo smantellamento dello storico mercato delle pulci in Piazza dei Ciompi. Da un luogo ricco di vita e frequentato sia da turisti che da cittadini, si passò ad un vuoto urbano pesante e contrapposto alle vicine vie ricche di fermento. La decisione riguardo a quella piazza vedeva delinearsi molteplici interessi: da una parte i commercianti, privati del luogo in cui portare avanti la loro attività, i residenti, timorosi di veder trasformata la piazza in un centro prediletto dalla movida fiorentina, e gli studenti, alla ricerca di una soluzione che rispettasse le trasformazioni di quel sito, ma allo stesso tempo proponesse un approccio improntato alla varietà di usi e utenti.

Quello che fu un atto di liberazione nei confronti di uno spazio che stava andando degradandosi rapidamente, fu preceduto da un periodo di studio ed analisi delle sue potenzialità, cercando di delinearne i passaggi storici che lo avevano interessato. Da area adibita agli orti di S. Croce, divenne poi uno spazio aperto risultante da una demolizione degli anni 30′ del Novecento, in previsione di un trionfale viale nel cuore di Firenze, per poi divenire la sede ultima della Loggia del Pesce ed ospitare il celebre mercato delle pulci, come già detto ormai demolito, ma immortalato in celebri sequenze cinematografiche come nell’incontro con l’usuraio Capogreco in “Amici Miei – Atto II”.

Nel frattempo, nella mente creativa di Pablo Georgieff le idee iniziavano a voler uscire, prorompenti. Ricordo con grande divertimento come propose, con una semplicità innata, di utilizzare la piazza come un grande palco, dove montare uno spettacolo di teatro-danza, culminante in una cerimonia festosa ma alquanto formale. Come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo. Noi studenti non ce lo facemmo ripetere due volte, e i preparativi per il grande evento ebbero inizio. Il tutto sarebbe culminato il 29 ottobre, una giornata che quella piazza avrebbe ricordato.

Prendere confidenza con il luogo innanzitutto. Procedere a piedi nudi, sentire la materialità dell’asfalto, della ghiaia, osservando quindi la vegetazione spontanea che stava riappropriandosi del terreno. Un cantiere a cielo aperto, un luogo senza più un’identità, richiuso in sé stesso da una ringhiera oramai inutile. Un vuoto inespresso e sempre più degradato. L’idea alla base dell’intervento temporaneo poggiava su una quantomeno bizzarra cerimonia, un battesimo del pino domestico che da anni si erge al centro della piazza. Il nome scelto da legare a questa pianta, iconico e inconfondibile per chi si intende di architettura del paesaggio, fu Simon, omaggio a Jacques Simon, scomparso l’anno precedente (2015), paesaggista che con il suo spirto di creatività e intraprendenza sapeva trasformare il paesaggio, interpretandolo tramite l’arte e la poesia, con semplicità e fantasia.

Simon sarebbe divenuto lo spirito guida dell’evento, osservandoci da un albero, elemento chiave del progetto di paesaggio, da lui molto amato. L’albero sarebbe così divenuto simbolo della piazza, punto di svolta nella ricerca di un mezzo per suscitare l’interesse dei passanti, indelebile punto di riferimento per il quartiere. Qualche notte prima di questo evento, misteriosi cartelli e punti di domanda spuntarono per le vie di S. Croce, invitando la popolazione ad accendere la curiosità. Tutto fu preparato nei minimi particolari. Nello spirito di riscoperta di un luogo dalle molte potenzialità, la performance voleva proporre proprio questa poliedricità, senza soffermarsi su uno o l’altro aspetto, privilegiando il lato effimero e giocoso dello spazio. Vennero installati dei piccoli mercati temporanei, luogo di scambio (d’idee) in cui vennero offerte piante, libri e “simulacri dell’antiquariato”.

All’interno della recinzione, la scenografia prevedeva un tappeto erboso che si sarebbe poi allungato verso l’esterno, adagiandosi anche sui gradini della Loggia; una sorta di natura pioniera 2.0 su cui riposare fra una performance e l’altra, ammirando la piazza da una diversa prospettiva. Al pino vennero fissati nastri colorati in gran numero, riecheggiando le tradizioni dei culti arborei. Il mattino del 29 ottobre ebbe inizio l’evento artistico-creativo. Vestiti con tute da lavoro, integralmente bianche non fosse per un singolo punto interrogativo disegnato sulla schiena, noi studenti iniziammo una camminata fra le vie del quartiere, coinvolgendo con il nostro movimento inarrestabile i passanti. Il percorso culminava nella piazza, dove la performance vera e propria avrebbe avuto inizio.

Il battesimo non poteva essere dei più festosi: danze, ritmo, musica, una processione continua intorno all’albero, che andava vestendosi di nastri attorcigliati. Ufficialmente il pino era divenuto Simon, appropriandosi della piazza in cui era nato e vissuto, che mano a mano andava riempiendosi di curiosi affascinati dallo strano svolgersi degli eventi. Proprio questo è il punto, lo scopo ultimo, mostrare che un luogo vive di coloro che lo animano, con interventi mirati e consapevoli, fondati su una concezione creativa che solo la libertà di pensiero può dare.

Nel pomeriggio proponemmo una seconda performance, questa volta basata sulla danza e sul colore. Il movimento generato dalla danza permette di conoscere e riconoscere spazialmente il luogo, di misurarne le distanze; il colore permea lo spazio e stabilisce un legame fra il passato e il futuro della piazza, la reinterpreta secondo nuovi canoni multispecifici. Due i momenti salienti di questa danza: un primo ritmo cadenzato in cui viene tracciata una griglia di vernice bianca sulla pavimentazione, ed una ripresa molto vivace in cui i movimenti e la gestualità diventano libere, caotiche, mimando la casualità degli incontri fra i passanti e la varietà di funzioni che avrebbero potuto ridonare vitalità alla piazza. Infine, posata la vernice, tolti e posati gli stivali da giardiniere (altro emblematico ammicco a Simon), stanchi e soddisfatti, osservammo la piazza dall’esterno, così come gli spettatori avevano fatto per tutta la giornata.

Il giudizio su questo intervento non fu necessario esprimerlo a parole, poiché il numero di persone intervenute per osservare, domandare, adottare una piantina fu assai più esplicativa di qualsiasi complimento o critica. Il seme era stato piantato, e così per qualche giorno rimasero i colori, la grida, la festa. Ma come tutte le belle cose, dura poco e si perde facilmente nella memoria. Oggi quel luogo è molto diverso da come lo avevamo immaginato, non molto differente da come si presentava prima del battesimo di Simon. Una piazza nella piazza, un nuovo recinto che divide il giardino dal resto, come a voler separare natura e città. Le possibilità sono sfumate e la creatività si è allontanata, lasciando il posto non più ad uno spazio abbandonato, ma ad un punto interrogativo dentro un vuoto.

La domanda che si starà facendo Simon è: che ne è di quei giorni lieti e giocosi? Come già detto, non essendo una vera e propria favola, questa storia non ha una morale, ma forse degli insegnamenti possiamo trovarli. Non c’è limite alle possibilità se più menti si uniscono, se la volontà di fare è congiunta a molte capacità. Nulla di ciò sarebbe accaduto senza l’apporto di ogni partecipante: gli studenti, lanciando un sasso in uno stagno piatto; il Prof. Falqui, ansioso di osservare i cerchi che quel sasso avrebbe prodotto; Pablo Georgieff, che ci insegnò ad osservare quei cerchi dalla prospettiva dell’acqua, e a colorarli. Collaborazione, creatività, arte, passione, comunità, temporaneità, cambiamento, sono tutte componenti indispensabili per la rivitalizzazione di spazi urbani, più che mai in questa epoca contemporanea. Rispondendo alla domanda del pino Simon, i giorni lieti e giocosi ritorneranno, presto, in ogni piazza e strada, con un po’ di volontà e un pizzico di immaginazione.