250 Things a Landscape Architect Should Know (+1)

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Esistono due modalità di lettura di un libro, che variano a seconda del volume scelto. Il primo, quello classico, è leggerli linearmente, seguendo un ragionamento che partendo dalle basi vada via via dipanandosi fino ad una tesi finale. Il secondo riguarda quei libri che non presentano un percorso univoco, ma prediligono una lettura diagonale, o meglio a balzi, passando da un argomento all’altro, a seconda dell’estro momentaneo. 250 Things a Landscape Architect Should Know si presta efficacemente ad entrambe le modalità di lettura. Possiamo leggerlo come un grande racconto a più voci, una narrazione del paesaggio contemporaneo, oppure come un compendio di riflessioni, tanti tasselli di un più grande mosaico da comporre a piacere.

Così come per diversi argomenti dello scibile umano, non esistono dogmi nel campo dell’architettura del paesaggio, e con quest’ottica B. Cannon Ivers, curatore del volume, affronta la sfida di unire tanti differenti approcci in un’unica opera, portando alla luce quella che forse è l’unica verità di questa disciplina: l’architettura del paesaggio è multiforme e complessa e, con buona volontà, in questa sua complessità possiamo trovare lo stimolo al costante perfezionamento.

A chi è indirizzato questo libro? Credo si possa tranquillamente apprezzarlo sia da affermati professionisti che da studenti. Non ci sono limiti alle conoscenze qui contenute, perché il paesaggio è materia in costante evoluzione e attinge ad ogni campo del sapere.

Paesaggio è storia, sia dell’arte che dell’uomo. Conoscere l’evoluzione degli stili, i nomi che hanno segnato i grandi progetti nel corso dei secoli riflette il pensiero, ormai radicato, che per progettare il futuro, sia necessario conoscere il passato. A questo proposito, Peter Latz al punto 120 propone un piccolo assaggio di cosa significa conoscere un luogo, ossia conoscerne la storia. La primaria necessità per un architetto del paesaggio è essere cosciente delle stratificazioni e dei mutamenti che hanno interessato un sito. Accettare in armonia ciò che è venuto prima di noi consente di comprendere veramente quale potrebbe essere la migliore delle progettazioni possibili.

Paesaggio è relazione. Relazioni fra esseri viventi dello stesso tipo (fra pianta e pianta, animale ed animale, uomo e uomo), così come fra esseri viventi differenti. Ma anche relazioni fra esseri e sistemi, fra sistemi e altri sistemi, fra spazi urbani e naturali. Le relazioni ovviamente comportano incidenze di vario tenore, e relative reazioni. L’accordo o disaccordo di questi nessi comporta la discussione a proposito della scalarità del paesaggio (ne parla Michel Desvigne in “Interlocking scales”), o dei margini che collegano / dividono (“Edges matter” di Kongjian Yu).

Meishe River Greenway, Haikou, Cina, 2019

Relazioni possono però intercorrere anche a livello culturale. Si relazionano popoli differenti, comunità e singoli esseri con diversi schemi di pensiero. La progettazione paesaggistica non può prescindere dal conoscere questi aspetti e l’influenza che essi hanno sulla percezione di un luogo. Marcial Jesus, ad esempio, ci parla in “Play is not only for the Children: the city of the future will have playgrounds for adults” degli aspetti più innovativi riguardo all’interazione diretta con lo spazio, mentre Martin Rein-Cano propone un’analisi su come la creazione di un conflitto, normalmente percepito con un’accezione negativa, possa essere nel campo dell’architettura del paesaggio un efficace mezzo per creare interesse. Charles A. Birnbaum esplicita la fondamentale importanza dell’influenza culturale nella progettazione al punto 35 “You cannot design with nature without designing with culture”.

Pixeland, Mianyang, Cina, 2018

Il paesaggio passa attraverso la lente delle discipline scientifiche più varie, districandosi fra studio del suolo, del clima, della biologia, della botanica, della fisica e di numerose altre. Il suolo quale supporto, le piante, gli animali (compreso l’uomo) quali elementi, il clima al di sopra e tutt’intorno. La narrazione degli scambi biologici, o d’informazioni è uno degli argomenti maggiormente presenti nel libro, a partire dell’intervento di Stig L. Andersson (The new nature is new), a quello di Petra Blaisse (Life as we know it begins and ends in the underground), passando per quelli di Johanna Gibbons (Soil biodiversity is critical infrastructure) e Dirk Sijmons (Take a Holiday from being human), e potremmo andare avanti.

Underground symbiosis

Oltre alla scienza il paesaggio fa affidamento a diverse materie umanistiche, quali le arti (comprendendo in questo termine assai generico ogni aspetto dell’espressione creativa artistica), la letteratura, la filosofia, e ramificazioni del sapere che studiano approfonditamente l’essere umano e i sistemi che crea; la sociologia e la politica. Questo passaggio è estremamente importante ai nostri giorni, dove praticamente ogni cosa è politica. Sara Zewde al punto 244 riassume in poche efficacissime righe il concetto: “La terra stessa è un mezzo di produzione e una dimostrazione di potere. Progettare un paesaggio significa proiettare una visione di come dovrebbe essere un luogo. Alcuni progetti cercano di reificare il modo in cui sono le cose; altri sono proiezioni di cambiamento. Ad ogni modo, i progetti stessi sono campagne per l’uno o per l’altro e l’architettura del paesaggio è un atto intrinsecamente politico”. Di questo calibro anche gli interventi di Kirsten Bauer (Landscape architecture is a political and cultural act), Yaek Bar-Maor (Planting is political), Aniket Bhagwat (Gardens are the last political spaces on the planet).

Midtown Activation, Seattle, USA, 2017

Il paesaggio è e rimane soprattutto scambio, di conoscenze, di idee, di punti di vista. Il libro in questione ne è un esempio lampante. I paesaggisti che intervengono formano una platea internazionale e, come già visto, gli argomenti trattati sono dei più vari. A voler essere sinceri, soltanto leggendo i titoli dei 250 punti si possono apprendere lezioni preziose, come un elenco di adagi che condensano nel minor numero di parole argomenti fondamentali e prospettive attuali.

250 Things a Landscape Architect Should Know non è un atlante, un manuale tecnico o un libretto d’istruzione, ma possiamo vederlo come un compendio corale, un percorso di scoperta (o ri-scoperta), che mostra il vero volto del paesaggio, privo di veli, la sua essenza più sincera: il paesaggio non ha limiti di forma, non ha confini fisici o di conoscenza. Esso si trasforma, in continuo mutamento, mai cristallizzato, mai statico. È l’oggetto olistico per eccellenza, dove la somma delle sue parti sarà sempre inferiore al tutto. È tempo, spazio, dinamica e vita.

Per questo motivo, alle 250 lezioni del libro, potremo sempre aggiungerne una in più. A questo proposito, Mary Bowman, al 23° punto, sottolinea che “Gli architetti non conoscono tutto”. Gli architetti del paesaggio raccolgono la pesante eredità di spaziare in ogni ambito del sapere umano, attraverso una “ben più ampia visione dell’impatto dello sviluppo sul mondo naturale”.